Ultimamente mi sono trovata in una situazione difficile. Una situazione in cui credo spesso si ritrovino tantissimi fra coloro che iniziano a vivere di un lavoro che alle origini era "semplicemente" la loro grande passione.
Io ho sempre amato disegnare, da quando ero piccolissima. Ricordo che riempivo album interi, disegnavo sui muri, disegnavo a scuola (non si dovrebbe ma... XD).
Alle medie iniziai a ritrarre i personaggi dei cartoni animati dalla tv. E siccome non potevo mettere in pausa cercavo di capire i loro tratti distintivi per fare in modo che il risultato fosse più simile possibile. In questa fase li mettevo quasi sempre nella stessa posa mi ricordo!
Al liceo ho provato tante cose nuove, mi ricordo che in quel periodo ho scoperto l'acetato (ne ho fatto solo uno però, troppo lavoro!) e ho iniziato a fare i miei primi fumetti. Non avevo idea di come le vignette fossero realizzate nel lavoro originale. Alla fine, per qualche motivo, mi ero convinta che fossero tutte illustrazioni che poi un misterioso tecnico dell'impaginazione dei fumetti avrebbe montato insieme dando a noi lettori la pagina così come la conosciamo.
Il passo successivo è stato quindi fare ogni vignetta in un foglio A4 (tralasciamo il fatto che fossero, ovviamente, tutte della stessa dimensione, decisamente anomalo). Ma come metterle insieme? Un tecnico tutto mio non lo avevo... Ed ecco l'idea! Fare fotocopie rimpicciolite di ogni illustrazione. Tagliarle e incollarle su una pagina e infine disegnare un bel bordo nero ad ogni vignetta.
E fu così che nacque la mia prima pagina a fumetti!
Macchinosissimo.
Non so per quale motivo io non scelga mai la via più facile nella vita (anche nella matematica era così, e infatti venivo rimproverata spesso per questo mio complicarmi l'esistenza senza motivo). Non è una questione di preferenze, ce l'ho proprio nel dna; pare che anche i miei primi passi e le mie prime parole siano stati vittime di questa mia attitudine allo studio ostinato di ogni strada e possibilità astrusa prima di essere compiuti effettivamente.
I liceali quando vengono messi in punizione solitamente non hanno il permesso di uscire e andare a divertirsi.
Una volta che la combinai molto grossa ricordo che mamma mi confiscò tutto il materiale da disegno in una valigia per un mese e mi disse che avrei potuto riaverlo solo se mi fossi comportata bene... Tra l'altro la tortura cinese era di avercela sotto il letto, dovevo essere io a non aprirla. Faceva parte del comportarsi bene (e se mi avesse sorpresa sarebbero stati cavoli!)... un incubo! Una notte non ressi, aspettai le 2 e l'aprii, disegnando sul pavimento con una torcia, terrorizzata all'idea di essere scoperta (i miei avevano i sensi di ragno, specie di notte), sentendomi tanto colpevole ma tanto, TANTO felice.
Copiavo, inventavo, sperimentavo. Sempre.
Poco prima degli esami di maturità, una mattina, il mio professore di chimica/biologia/geografia astronomica mi fermò in corridoio e mi mise fra le mani una busta, piuttosto cicciotta. Disse che l'aveva trovata in segreteria e che mi avesse pensata subito.
Dentro c'era una brochure di un'accademia d'illustrazione. Non sapevo nemmeno che esistessero.
Fino a quel momento avevo pensato un po' di tutto... di diventare veterinaria, biologa, architetto... perchè gli architetti hanno una matita in mano ma guadagnano più dei fumettisti, si sa. Mi sentivo un po' smarrita.
Quella busta conteneva tutto quello che potevo desiderare... essere illustratore sembrava la via di cui nessuno mi aveva mai parlato, l'unica possibile!
Tornai a casa decisa a voler frequentare quella scuola, cadesse il mondo. I miei genitori, OVVIAMENTE erano abbastanza preoccupati. Non è mai facile quando un figlio decide di abbandonare la via della professione "sicura" e di buttarsi a testa bassa in un cammino fatto di arte, con regole tutte sue e una storia piuttosto fumosa alle spalle. Niente, stipendio fisso, niente pensione, niente giorni di malattia, nulla di nulla. E sarà mai abbastanza bravo da farcela? Avrà la capacità di gestire qualcosa di così enormemente impegnativo e poco sicuro o finirà per doversi reinventare a trenta, quarant'anni? E se poi non ci riuscisse?
E diciamocelo: le scuole di illustrazione costano davvero davvero tanto.
Ma io ero in modalità berserker e alla fine i miei si sono convinti a farmi tentare.
Da quel momento in poi inizia un percorso lunghissimo e complesso. La cui sintesi però è semplice (ma attenti a non coglierne solo il significato superficiale, un po' banalotto rispetto a quello che c'è dietro).
A parte rarISSIMI casi nessuno di noi inizia con uno stile definito e pronto. Tutti però ci portiamo dietro una serie di "abitudini del disegno" spesso scorrette e d'intralcio alla nostra formazione.
Per progredire ce ne dobbiamo liberare e aprirci a tutta una serie di novità.
Capita però che facendo questo si possa finire per perdere qualcosa che fa parte della nostra identità. Che si possano mettere da parte cose che riteniamo d'intralcio o non adatte al mercato in cui ci vogliamo inserire.
Capita che si metta da parte ciò che veramente si ama per fare qualcosa che magari abbiamo visto o sperimentato per caso, e che ci sembra essere apprezzato dagli altri.
Capita che nella frenesia di migliorare, di essere all'altezza, di fare di più e di non rimanere indietro si finisca con il sentirsi persi, scoraggiati, e poco capaci.
Quella che penso sia la verità è che non potremo mai essere all'altezza dei nostri miti per quanto riguarda noi stessi e il nostro giudizio. Magari potremmo essere acclamati e noi ancora lì a sentirci delle schifezzine.
Ma forse quello che ci piace così tanto in altri ci piace perchè è qualcosa che fa parte di loro, della loro anima, e che possono darci solo loro.
E noi?
Potremmo accorgerci che, per fare "le cose fatte nel modo giusto" abbiamo smesso di essere felici di farle.
Non felici del risultato. Felici del percorso. Quel rapimento totale che ti prende quando fai qualcosa che ami totalmente e che svanisce quando DEVI fare qualcosa.
Devi perchè te lo ordinano.
Devi perchè pensi sia la cosa giusta.
Devi perchè hai bisogno di migliorare.
E invece, tutto quello di cui abbiamo bisogno è di essere felici. E quando lo siamo mettiamo nei nostri lavori quel pezzettino di noi di cui parlavo e magari per qualcuno sarà bellissimo da guardare.
Quindi in questo periodo sto facendo delle cose per me. E più ne faccio e più questo lavoro torna ad essere la mia passione. E se poi queste cose un giorno diventeranno anche lavoro tanto meglio.
Ma per ora va bene così, tanto "il lavoro", quello da dipendente, ha sempre regole più o meno strette e che dobbiamo saper assecondare per poter portare la commessa a termine.
Facciamo almeno in modo che, quando facciamo qualcosa solo per noi, non esistano regole di alcun genere.
2 commenti:
Che bello, mi tocca molto quello che scrivi e capisco perfettamente :)
Buon lavoro! ^^
Giuste parole. Io ho cercato la perfezione per molto tempo.. l'ho trovata quando, stanca, ho smesso di cercare. A quel punto pero' non era più' la perfezione estetica, di forme e di tratto.. era semplicemente la mia perfezione. Finalmente ero felice.
Un sorriso
Ste
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